Patto di famiglia

Approfondimenti

Il patto di famiglia è un contratto tipico la cui disciplina è contenuta nelle disposizioni di cui all’articolo 768 bis e seguenti del codice civile.

Il contratto in questione consente all’imprenditore di pianificare il passaggio generazionale della propria azienda, stipulando un accordo con la quale l’azienda (o le partecipazioni sociali costituenti la maggioranza del capitale) viene attribuita ad uno o ad alcuni dei suoi familiari. Il familiare o i familiari assegnatari dell’azienda sono poi obbligati a liquidare i familiari non assegnatari partecipanti al patto.

Il patto di famiglia rappresenta un’eccezione ai generali principi di diritto successorio: rappresenta una sorte di anticipata successione che realizza un assetto destinato ad essere stabile.

La ratio legis alla base della disciplina del patto di famiglia è rinvenibile nel rispetto del principio di tutela dei beni produttivi. Infatti, la gestione dei beni produttivi implica necessariamente dinamismo e attitudine a cogliere le opportunità del mercato, che mal di conciliano con l’attesa delle diverse della successione ereditaria e la cogestione tra eredi dell’attività di impresa.

Con la stipula del contratto del patto di famiglia, vengono derogati i seguenti principi del diritto successorio:

  1. Viene abdicato il principio dell’unicità della vicenda successoria: solo relativamente all’impresa, si “anticipa” la successione al momento del contratto;
  2. Il legislatore riconosce rilievo ai legittimari prima che si apra la successione: partecipano al patto di famiglia coloro che sarebbero legittimari se la successione si aprisse al momento della stipula del patto medesimo. Tale deroga, comporta che il sopravvenire di legittimari sopravvenuti in un arco temporale posteriore alla stipula del contratto, non renda instabili gli effetti del contratto già stipulatosi. Essi, infatti, avranno diritto ex articolo 768 sexies ad una liquidazione sulla base del valore dell’azienda, fermo restando gli effetti del patto. Tale liquidazione in favore dei sopravvenuti è a carico di tutti i beneficiari del patto, non solo dell’assegnatario dell’azienda.
  3. I beni ricevuti dai non assegnatari a titolo di patto di famiglia vanno imputati alla loro quota di legittima. L’imputazioine alla propria di quota di legittima di quanto ricevuto in vita dal de cuius di norma presuppone che sia lo stesso de cuius avente causa ad attribuire i beni, in tal caso, invece, i beni ricevuti dai non assegnatori non provengono dal patrimonio del disponente, ma dal legittimario assegnatario tenuto alla liquidazione.

Pertanto, tutto ciò che si riceve a titolo di patto di famiglia costituisce un’attribuzione a stralcio, fuori dalla reductio ad successionem.

Per ciò che concerne la natura giuridica del contratto di patto di famiglia, sono state avanzate in dottrina più tesi differenti.

Per parte della dottrina, infatti, il patto di famiglia ha natura giuridica di donazione modale con l’onere a carico del familiare assegnatario di dover liquidare i restanti familiari non assegnatari. Tale opinione, però, è stata fortemente messa in discussione dall’osservazione secondo cui che nel patto di famiglia non si rinviene l’animus donandi, elemento essenziale della donazione.

Per altra parte della dottrina, invece, il patto di famiglia deve essere considerato quale contratto a più parti con causa divisionale attributiva. È un’attribuzione divisoria anticipata rispetto ad una successione non ancora aperta. Ciò, è anche giustificato dalla collocazione codicistica dell’art. 768 bis, ossia il titolo riguardante la divisione.

Ad oggi, però, la dottrina prevalente qualifica il patto di famiglia quale contratto tipico con causa propria, ossia l’unicità della famiglia.

Il patto di famiglia è un contratto plurilaterale. È quindi necessaria la presenza del disponente, del legittimario assegnatario e di tutti i soggetti che sarebbero legittimati ex lege li dove si aprisse in quel momento la successione.

I soggetti partecipanti al patto di famiglia sono indicati dalla legge nel disponente imprenditore, nei legittimati assegnatari (che necessariamente devono essere discendenti) e nei legittimari non assegnatari.

Nel caso in cui il discendente assegnatario sia in regime di comunione legale dei beni, l’assegnazione di azienda ha natura di bene personale escluso dalla comunione legale ai sensi dell’articolo 179 lettera b).

Come sopra ribadito, i legittimari non assegnatari partecipanti al patto, sono coloro che sarebbero legittimari ai sensi di legge se in quel momento si aprisse la successione.

L’articolo 768 bis prevede espressamente che il patto di famiglia debba essere stipulato nel rispetto delle norme riguardanti l’impresa familiare di cui all’articolo 230 bis codice civile.

I limiti di cui all’articolo 230 bis sono costituiti dal cd diritto alla liquidazione dei partecipanti all’impresa familiare e dal cd diritto di prelazione.

Per ciò che concerne il dritto alla liquidazione, il 4 comma dell’art 230 bis, espressamente prevede che “il mantenimento spettante al familiare che collabora nell’impresa può essere liquidato in danaro alla cessazione, per qualsiasi causa, della prestazione di lavoro, ed altresì in caso di alienazione dell’azienda…”. Il patto di famiglia è sovente causa di cessazione dell’impresa familiare perché determina cambiamento della titolarità dell’azienda.  Pertanto, in caso di cessazione dell’impresa il soggetto avrà diritto alla liquidazione prevista per il caso di cessazione di lavoro di cui al comma 4 dell’articolo 230. Ben possono, dunque, cumularsi le liquidazioni previste a titolo di patto di famiglia con quelle previste a titolo di impresa familiare, si pensi al caso del figlio del disponente che non sia assegnatario dell’aziende in sede di patto di famiglia, ma collabori all’impresa familiare.

Il diritto di prelazione, invece, è previsto dal comma 5 dell’articolo 230 bis, ai sensi del quale “in caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell’azienda i partecipi di cui al primo comma hanno dritto di prelazione sull’azienda…”.  Per la teoria della dottrina prevalente il diritto di prelazione nel caso di assegnazione dell’azienda a titolo di patto di famiglia non sorge. L’assegnazione dell’azienda è un tassello del più ampio regolamento negoziale con interdipendenza di prestazioni. Inoltre. L’imprenditore perderebbe interesse.

Oggetto dell’attribuzione del patto di famiglia possono essere o le partecipazioni sociali che comportano la gestione della società o l’azienda.

È anche ammesso che il patto di famiglia abbia ad oggetto l’usufrutto dell’azienda e non la piena proprietà. Ciò, però, solo nel caso in cui la temporaneità del diritto di usufrutto non sia incompatibile con la ratio di garantire la continuità produttiva dell’azienda.

Inoltre, può essere oggetto del patto anche la sola nuda proprietà dell’azienda. Può essere assegnata, infatti, la nuda proprietà dell’azienda al discendente assegnatario con riserva dell’usufrutto in favore del disponente. Questa ipotesi è, invero, molto comune: si pensi al caso in cui il figlio discendente assegnatario d’azienda è molto giovane, e, pertanto, il padre decida di conservare la gestione aziendale.

A fronte dell’assegnazione, il discendete assegnatario deve liquidare gli altri partecipanti all’atto per un valore corrispondente alla loro quota di legittima. Per la teoria nettamente prevalente la liquidazione deve riguardare la legittima calcolata sul solo valore dell’azienda, non sull’intero patrimonio del disponente.

La liquidazione da parte del discendente assegnatario in favore dei non assegnatari, può avvenire o in danaro o in natura. La liquidazione in natura ha natura giuridica per alcuni di datio in solutum, e per altri di obbligazione alternativa.

Ove i legittimari non assegnatari decidano di rinunziare al diritto alla liquidazione loro spettante, la rinunzia ha lo stesso effetto di stabilità della liquidazione, equivale all’accettazione della liquidazione.

Nel caso particolare in cui, invece, il coniuge partecipante al patto di famiglia divorzi dal disponente prima dell’apertura della successione di quest’ultimo, non potendo dunque più vantare alcun diritto successorio verso la successione di quest’ultimo, si ritiene che possa conservare quanto ricevuto. Non rappresenta infatti un’appropriazione indebita possedendo comunque il coniuge il titolo per partecipare al patto al momento della stipula del medesimo.

Ulteriori ipotesi particolari di patto di famiglia moltot comuni nella prassi sono rappresentante dall’apposizione della condizione risolutiva di reversibilità o dal divieto di alienazione.

Per ciò che concerne il patto di famiglia stipulato con patto di reversibilità, ci si riferisce all’ipotesi in cui il disponente stabilisca con apposita clausola contrattuale che se entro un certo termine il discendente assegnatario diriga l’azienda con mala gestio, questa ritorni nel patrimonio del disponente. La mala gestio, però, deve essere ancorata a dei parametri oggettivi prescritti nel patto o verificata da un terzo.

Inoltre, è comune che il disponente a seguito dell’assegnazione dell’azienda imponga all’assegnatario il divieto di alienazione della stessa secondo i parametri di cui all’articolo 1379 cc: il divieto deve essere ricompreso in un conveniente limite di tempo, e secondo un apprezzabile interesse. Essendo il patto di famiglia un contratto gratuito, il divieto ha natura giuridica di onere.

Di comune prassi è anche la stipula del cd patto di famiglia verticale. Questa ipotesi si realizza nel caso in cui la liquidazione in favore dei partecipanti al patto non assegnatari è disposta direttamente dal disponente, non avendo il discendente assegnatario risorse sufficienti per liquidare gli altri partecipanti.

Parte della dottrina, ha negato che al patto di famiglia verticale possa essere applicata la disciplina generale del patto di famiglia. Infatti, tale evenienza costituirebbe una forte deroga al divieto di patti successori ex articolo 458 cc, non espressamente disciplinata dal legislatore.

La liquidazione da parte del disponente, infatti, ha natura giuridica di adempimento del terzo ai sensi dell’articolo 1180 cc con spirito liberale e natura giuridica di donazione indiretta. In conseguenza di ciò, non potendosi applicare le generali norma sul patto di famiglia, il contratto sarebbe soggetto ad un’eventuale azione di riduzione.

Per altra parte della dottrina, invece, anche al patto di famiglia verticale devono vedersi applicate le norme generali dell’istituto. Infatti, la liquidazione fatta direttamente dal disponente aiuta a realizzare la ratio dell’istituto. Inoltre, i non assegnatari potrebbero essere spronati a stipulare il patto dal fatto che potrebbero ricevere beni di altra natura facenti parte del patrimonio disponente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ATTI A TITOLO GRATUITO

 

Gli atti a titolo gratuito devono essere divisi in due grandi macrocategorie: gli atti gratuiti non liberali e le liberalità.

 

Gli atti gratuiti non liberali sono caratterizzati dalla mancanza di uno dei due elementi costitutivi delle liberalità, ossia l’impoverimento del donante. Sono considerati quali atti gratuiti non liberali comunemente noti nella prassi sia il contratto di comodata sia il mutuo infruttifero.

 

Le liberalità invece sono caratterizzate non solo dall’animus donandi ma anche per l’appunto dall’impoverimento del donante.

 

A propria volta la categoria delle liberalità deve essere suddivisa in due macro-sottogruppi: le liberalità non donative ed il contratto di donazione vera e propria.

 

Le liberalità non donative sono le donazioni indirette, ossia dei contratti o determinati comportamenti aventi ripercussioni negoziali che pervengono al medesimo risultato della donazione ma senza avere i requisiti formali e tipici del contratto di donazione.

 

Le liberalità non donative possono avere natura giuridica negoziale e natura giuridica non negoziale.

 

Le liberalità non donative negoziali sono sicuramente le più comuni nella prassi e hanno riguardo al caso in cui le donazioni indirette sono attuate mediante lo strumento tecnico di altri negozi giuridici tipici o atipici meritevole di tutela per il nostro ordinamento.

 

Le liberalità non donative non negoziali, invece, non sono attuate mediante lo strumento tecnico del negozio giuridico, mancando per l’appunto il requisito della volontà negoziale. Lo studio della prassi giuridica ha portato la dottrina ad individuare soltanto due specifiche ipotesi di liberalità non donative non negoziali, ossia:

  1. Il caso specifico in cui il padre costruisce sul suolo del figlio che automaticamente acquista quanto costruito per accessione. In tal caso il padre, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 936 codice civile, vanta verso il figlio un diritto di credito, che però può essere rimesso verso il figlio tramite l’istituto giuridico della remissione del debito ex 1236 cc.
  2. Il soggetto giuridico che volontariamente non interrompe il termine per il verificarsi dell’acquisto a titolo di usucapione.